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Intervista con Matteo Gianola

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view post Posted on 4/4/2011, 15:36
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Intervista con Matteo Gianola

Di Andrea Turetta

THE DIGGER'S LANE è un progetto solista di Matteo Gianola. L'EP, uscito a dicembre 2010, è stato registrato in casa di Andrea Van Cleef, mixato da Andrea Van Cleef e masterizzato da Luca Merlin nello Zero B Studio di Padova (Misfits, Therapy!, Marky Ramone and The Speedkings, Buzzcocks, James Taylor Quartet)… I testi, intimisti, poetici e introspettivi, parlano di pioggia, cani, pistole, di amori ai margini consumati nel silenzio, della ricerca della propria identità e del riscatto dell'emarginato. Ecco, l’intervista gentilmente rilasciata dall’artista…

Com’è nata l’dea del progetto musicale legato a “The Digger’s Lane”?
Dopo anni di canzoni e concerti, ma senza aver mai pubblicato nulla, avevo la necessità di realizzare qualcosa che fosse veramente mio. Così Andrea Van Cleef mi ha proposto di registrare qualche pezzo per vedere cosa ne sarebbe uscito e come per scherzo è nato “The Digger's Lane”.

E’ stato un percorso particolarmente lungo quello che ha portato a questo tuo Ep?
No, non direi lungo. Ho scritto le canzoni pochi mesi prima di registrare e alcune cose le ho sistemate di notte tra una registrazione e l'altra. Avevo già ben chiaro cosa volevo dalle canzoni e come dovevano suonare. Poi, in due giorni e mezzo, a casa di Andrea abbiamo ridimensionato le idee, arrangiato e registrato i pezzi.

Quali potrebbero essere i punti di forza del disco?
Mi piace definire questo EP come un disco imperfetto. E vedo questa imperfezione come un valore aggiunto, piuttosto che un difetto. Durante il missaggio abbiamo volutamente lasciato alcune imprecisioni che rendono il suono più genuino, sporco, disorganico.
Un altro aspetto importante sono sicuramente le parole. Nel mio processo compositivo le parole hanno sempre avuto un ruolo fondamentale, direi primario. Il senso, o il non senso, dei testi è il motore di quasi tutte le mie canzoni.
Direi che in questo progetto ho trovato un giusto compromesso tra suono e significato. Parole, melodie e arrangiamenti si mischiano in un'atmosfera che puzza di provincia, di cantina, di polvere e muffa.
Che può essere uno svantaggio, ma, dal mio punto di vista, è decisamente un punto di forza.

Alla fine, il disco è uscito fuori come tu lo desideravi?
Sì. Decisamente. Ogni volta che lo riascolto ritrovo la spontaneità e la genuinità che hanno generato le canzoni e questo mi piace molto.

Sei riuscito a coinvolgere nel progetto tanti amici/artisti… è stata una cosa complicata mettere insieme le tue idee alle loro?
Mah, non direi. Io avevo le idee abbastanza chiare e con Andrea mi trovo sempre in sintonia. Siamo molto vicini a livello di idee musicali. A volte io tendo più al folk tradizionale e lui al punk e al garage, ma nella nostra amicizia abbiamo sempre trovato punti in comune che ci hanno aiutato a sopravvivere al passare degli anni.
La cosa complicata è stata registrare il violino con Andrew. Lui è americano, di St. Paul, quindi con una concezione della musica e dei processi compositivi molto diversi da quelli a cui siamo abituati in Italia. Molto più istintivi. Abbiamo registrato il violino in presa diretta sulle tracce guida che avevo preparato, eravamo in un negozio, dopo l'orario di chiusura e non sempre riuscivamo a far coincidere le nostre esigenze musicali con quelle dei vicini...
Di sicuro la loro presenza ha arricchito molto tutto il progetto.

Cosa ricordi delle prime esperienze musicali?
All'inizio ero tastierista ed armonicista. Ho sempre suonato molto e molti generi, con diversi gruppi e persone curiose. Per un certo periodo, ad esempio, ho suonato con un gruppo di reduci del rock progressivo degli anni '70: io avevo 17 anni e loro 40.
Poi mi ricordo sudore, bevute infinite e molti, molti chilometri in macchina. Sono cresciuto a Lecco, una città che con gli anni è andata a morire dal punto di vista musicale e culturale, pur avendo avuto periodi di grande fermento. Negli anni '90 per suonare o per ascoltare musica live si doveva quasi sempre andare da un'altra parte.

Importante, penso sia il lato “live” del tuo lavoro… Come lo vivi? Lo preferisci al lavoro in Studio?
Sicuramente suonare molto dal vivo mi ha aiutato a concepire la musica da un punto di vista differente. Il live è la parte più importante di un artista. Sei a contatto diretto con il pubblico e devi metterti in gioco ogni volta, cercare il confronto, creare un rapporto di interscambio di energie: io do a te e tu dai a me. La cosa che amo di più dei live è quel senso di incertezza che ti tiene sempre in tensione, perchè non sei mai certo di dove va a finire un concerto.
Invece vedo il lavoro in studio come il momento in cui puoi sperimentare nuove cose, il momento in cui ti puoi evolvere e sviluppare le idee.

Ci sono dei momenti particolari nel corso della giornata, nei quali nascono le tue canzoni?
Non necessariamente. Sono cresciuto leggendo Ginsberg che mi ha insegnato a scoprire la poesia nella quotidianità. Ogni momento è IL momento della poesia. È l'attimo che genera l'ispirazione. Mentre anni fa componevo molto di notte, adesso sono più produttivo durante il giorno, soprattutto per la parte musicale. Con tre figli, è difficile comporre canzoni rumorose la notte...

Quali dovrebbero essere le qualità di un buon autore di canzoni?
Buona osservazione, mente fluida e ricettiva, ascoltare se stesso, predisposizione al confronto con gli altri e all'evoluzione del proprio spirito. Nessuno è Dio.

Come ti trovi a convivere con la tecnologia, specie se applicata alla musica?
La tecnologia è fondamentale se utilizzata nel modo corretto. Il mio primo computer musicale l'ho comprato a 15 anni. Era un vecchio AtariST usato su cui girava la prima versione di Cubase. Non aveva un disco fisso, non esistevano plug-in e tanto meno si potevano registrare tracce audio: era impensabile fare un disco solo utilizzando il computer. Oggi la tecnologia si è evoluta talmente tanto che è possibile fare un disco in casa, con 2 microfoni e 4 plug-in, e questo è bene. Quello che non ti da la tecnologia, però, è la creatività. Quella devi averla dentro di te e basta.

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nella foto, la cover dell'EP...

Oggi, chi fa musica finisce per farlo soprattutto per passione o riesce anche a viverci discretamente?
Vivere di musica in Italia al giorno d'oggi è molto difficile, soprattutto perchè il mercato è saturo ed è difficile trovare uno spazio. Se fai musica tua, poi, sono più le volte che suoni senza essere pagato che il resto. Quello che i media e la televisione cercano di trasmettere è che l'idea del sogno americano, del self-made-man, sia a portata di tutti. Ma non è così. La vita del musicista è ancora on the road: ti devi fare le ossa, a volte anche rompertele, per avere almeno un po' di soddisfazione personale.
Oggi vedo sempre più spesso artisti che vengono venduti come genuini, faccine acqua e sapone o perfettamente sporchi e straccioni, ma che in realtà sono prodotti costruiti a tavolino per soddisfare e riempire uno spazio del mercato. Mi sembra che il music business si stia riducendo troppo ad un processo di marketing in cui conta solo quanta ricchezza sei in grado di generare. Si sta perdendo in troppi casi la componente artistica della musica.

Quando componi, cerchi di farlo sulla scia dell’entusiasmo, della spontaneità o a mente fredda?
Nel mio processo creativo utilizzo entrambi i metodi. Diciamo che la scintilla nasce spontaneamente, a livello inconscio – non ricordo di aver mai pianificato la scrittura di una canzone - poi, una volta che l'intuizione è stata catalizzata, ci lavoro a mente fredda, rigirando melodie, accordi, testi, ecc... per rendere al meglio la sensazione che voglio trasmettere.

Quali sono gli artisti che più ti piacciono?
In questo momento ascolto molto alt-folk e alt-country americano. Bon Iver, Bonnie Prince Billy, Wilco e Damien Rice sono tra i miei favoriti del momento. Da sempre amo Dylan, Springsteen (quello fino al 1982) e Patti Smith, i miei fari nella notte. Poi Devendra Banhart (quello di “Rejoicing in the Hands”), Ray LaMontagne, Josh Ritter, Edward Sharpe, Arcade Fire, Bright Eyes, The Tallest Man on Earth, Gaslight Anthem, Neil Young...

Il mondo della musica sta vivendo una notevole rivoluzione oltrechè crisi di vendite… C’è da sperare che le cose si mettano meglio in futuro?
Credo che la crisi delle vendite sia più un problema per le major che per gli artisti indipendenti.
Chi sta puntando sulla qualità invece che sulla quantità, favorendo la creatività e l'originalità, alla fine avrà la meglio. Internet è una grandissima opportunità in questo senso: ti permette di raggiungere nuove persone e nuovi mercati, con mezzi limitati e senza avere grosse produzioni alle spalle.
La tecnologia, se usata con intelligenza, è uno strumento indispensabile e straordinario per uscire dal provincialismo.

Per un autore, quanto è importante saper cogliere e sintetizzare quanto gli sta attorno?
Direi fondamentale. Dopotutto la funzione primaria dell'Artista è proprio quella di rileggere la realtà e la quotidianità e (ri)creare un linguaggio comune in grado di parlare alla gente comune.

Ma la musica negli anni attuali è anche immagine… c’è il rischio che questa finisca con l’oscurare le varie composizioni?
La musica degli ultimi anni è soprattutto immagine, purtroppo. La ricerca esasperata di uno stile personale ha portato troppe volte a mettere in secondo piano i contenuti rispetto all'estetica. Sembra che al giorno d'oggi sia rimasto solo un bell'involucro in cui infilare il vuoto della nostra società. Questo può essere, ma deve essere un processo artistico, intenzionale, la denuncia consapevole di uno stato di fatto, mentre vedo semplicemente un vuoto che si riempie di fama e gloria senza averne titolo o qualità.
Credo che molti musicisti e pseudo-artisti debbano fare un passo indietro e togliersi di dosso quella patina spocchiosa di egocentrismo che fa tanto “alternativo”.
L'essere contro a prescindere, indie ad ogni costo, alternativo per forza non porta da nessuna parte e soprattutto non accresce culturalmente. Concepisco l'arte – e la musica è arte - come la più alta espressione della perfetta imperfezione dell'uomo, come componente fondamentale della vita, uno strumento necessario ed indispensabile per l'evoluzione umana.

Per ulteriori info:
www.thediggerslane.com

Si ringrazia per la gentile collaborazione Laura Gorini
 
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